Lunedi, ho visto Into the Wild,di Sean Penn.
Com'è difficile amare,scegliere e praticare il rischio della libertà. E com'è facile mettersi in viaggio,on the road,in fuga rinunciando irrimediabilmente alla carriera certa,ai legami,tagliando ogni contatto con la società alla ricerca della parte più vera di noi stessi.
Si svolge tra l'Alaska e il Messico,attraversando il Colorado (in kayak) e il South Dakota ,Into the Wild,di Sean Penn: racconta la storia del giovane Christopher McCandless,travolto da un esperienza-avventura-viaggio estremo fino ai confini delle immense terre dell'Alaska. Certo, la sua è una vicenda limite. Un lungo cammino in mezzo a squarci naturalistici sublimi,in un mondo separato e regolato dalle leggi della natura,attraversa gli stadi simbolici della conoscenza,come in un viaggio platonico all'indietro,verso le ombre primordiali della caverna,tracciando i percorsi di una possibile fuga e dominio dal proprio destino, la ricerca di un senso che può diventare ossessione e dal finale comunque tragico e fatale.
Christopher è diviso tra il ricordo doloroso della sua infanzia e la fedeltà totale all'idea di una possibile ricerca della felicità, e questa alla fine è il tema esplicito del film;della sua scelta che annulla,nega una cultura che ha creato la lista d'attesa(durata quattro anni) per discendere il fiume in kayak.
Le astrazioni spontane si aggrovigliano,durante la visione,e si chiarificano,annullano nella sublime fotografia degli spazi geografici.
E altro tema implicito,la paura,della solitudine. Un sentimento tenuto nascosto,incatenato e controllato attraverso l'incontro e la conoscenza degli altri: la giovane amica,gli amici operai dei lavori occasionali,il veterano in pensione.
Di questa paura nelle ultime sequenze,forse, si manifestano i sintomi.
La regia,in molti momenti, mantiene l'inquadratura quasi ferma sul volto del bravo Emile Hirsch,sottolinea l'ossessività di certi comportamenti,rituali,per portare in primo piano il senso profondo e silenzioso di quel che vediamo. Le splendide musiche di Eddie Vedder arricchiscono le immagini in perfetta sincronia,talvolta svolgono il contenuto,insieme alla voce fuori campo di una sorella abbandonata.
I continui flashback ci mostrano altre immagini,si tratta della memoria di fatti lontani nel tempo: di odio e violenza (psicologica) . Forse si tratta di quelle esclusioni-inclusioni che hanno indotto Christopher a sfuggire al proprio destino.
Il finale ci mostra un corpo alla deriva,forse sotto l'occhio di un dio quasi beffardo e sottile,e forte che affronta la fatalità imprevedibile di un tragico errore.Ma ci rimane impresso l'ultimo sorriso di Christopher,sotto il cielo dell'Alaska,che gli dà il piacere, la gioia, e una felicità così violenta,subitanea, assoluta che non passa...non c'è piu paura,ma "la felicità è reale solo se viene condivisa"....
Buona Visione.
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3 commenti:
Ajò ferà e aggiornalo questo blog!
oh...ma a pasquetta cosa facciamo???whooooo!!!!
Niente, tanto piove
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